Calcio femminile: una storia d’amore

Il calcio femminile è sempre stato considerato una disciplina per le ragazze che non erano adatte a sport più femminili e delicati. Chi non aveva la leggiadria per danzare, l’altezza per giocare a pallavolo o la prestanza fisica per praticare atletica, si ritrovava a dover ripiegare su qualcosa che fosse un ripiego, uno sport da praticare tanto per fare qualcosa, in attesa dell’età adulta per poter dire finalmente basta all’attività sportiva.

Credo che anche nel mio caso sia iniziata così. Ma da ripiego si è trasformata in passione!

Troppo maldestra e troppo bassa

Troppo maldestra mi ha definito la mia insegnante di danza classica quando mia madre mi ha segnato al corso. Avevo cinque anni, ma per l’insegnante era chiaro che non avrei mai potuto indossare le scarpette e volare leggera sul palco. Ero maldestra, non avevo classe, ero impacciata e forse anche un po’ troppo rotondetta per i suoi standard (questo non l’ha detto esplicitamente ma l’ha fatto intendere in più occasioni!).

L’anno successivo, iniziano le elementari e molte mie compagne si iscrivono al corso di pallavolo organizzato dalla scuola. Visto che l’argomento danza era ormai archiviato per sempre, chiedo di poter fare pallavolo insieme alle mie amichette e mia mamma, con fiducia, mi iscrive. Gli allenamenti sono divertenti, la palla mi piace, ma non sono così abile con le mani e spesso mi faccio sorprendere e la palla mi sfugge via. E c’è anche un altro problema: sono bassa. Alle partite non venivo mai convocata e non ero certo la peggiore della squadra, anche se non brillavo. Su di me non si poteva contare perché non ero abbastanza alta da coprire in sicurezza la mia parte di campo.

Avevo 6 anni.

Ed ero sul punto di credere che lo sport non avrebbe mai fatto parte della mia vita.

Ai giardini giocavo a pallone con i maschi

L’anno successivo vengo iscritta a nuoto, perché i bambini uno sport devono farlo, e almeno avrei imparato a nuotare come si deve. Due giorni alla settimana infilavo la cuffia e mi buttavo in piscina: neanche a dirlo, non eccellevo nemmeno come nuotatrice, ma almeno in quell’ambiente non ho trovato muri o paletti e mi hanno davvero insegnato a nuotare.

Gli altri tre giorni alla settimana, andavo ai giardini e giocavo a pallone. Mio fratello, un anno più piccolo, mi permetteva di giocare con i suoi amici e io mi divertivo tantissimo! Amavo correre dietro alla palla, scartare il mio avversario, correre sulla fascia e quando la palla sfiorava lo zaino che faceva da palo ed entrava in rete (ovviamente rete figurata!) per me era il momento più bello della giornata! Certo, giocavo al parco e con bambini di un anno più piccoli, ma era la cosa più divertente che avessi mai fatto.

In casa io e mio fratello non facevamo altro che tirare, tirare e tirare. In salotto avevamo due divani, uno di fronte all’altro, perfetti per fungere da porte! Ed è così che è iniziata la mia avventura nel calcio femminile.

Finalmente in una società di calcio

L’anno successivo al nuoto, convinco mia mamma a iscrivermi ad un corso di calcio. Nella squadra di quartiere, noi Pulcini ci alleniamo due volte alla settimana e nel weekend c’è la partita. Eravamo solo due bambine, il resto della squadra erano maschi, ma non importava a nessuno. La partita era il momento che aspettavo tutta la settimana: indossavo i miei calzettoni, gli scarpini e la maglia con il numero e scendevo in campo, pronta a dare tutta me stessa!

Non sempre venivo convocata, ma anche se non giocavo andavo sugli spalti con gli altri compagni non convocati a fare il tifo. Eravamo una squadra unita e piena di entusiasmo. Ringrazio il mio mister dell’epoca perché mi ha insegnato che non esistono etichette, nella vita come nello sport, e che tutti abbiamo il diritto di trovare la nostra strada senza che nessuno ci sbatta la porta in faccia per colpa dei pregiudizi.

Oggi gioco in una squadra di serie C e non potrei essere più felice!

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